Curiosità!
Due antiche leggende di amori e di pazzia
Si presume che l'antico castello di Calestano si ergesse ove ora è La Bastia. Il maniero, oltre al privilegio di ospitare i Signori di queste terre, aveva lo scopo di difenderle dagli attacchi nemici. Il suo Torrione era adibito a severa e terribile prigione. Aveva camere di tortura che erano tra le più sofisticate e raffinate della vallata essendo corredate di ruote dentate, di viti schiaccianti, di rastrelliere e di altri diabolici strumenti. Nel Torrione venivano rinchiusi prigionieri sospetti o colpevoli di ogni nefandezza o irriverenza verso i Signori. Qui venivano sottoposti a pesanti pene corporali e quindi inviati all'estremo giudizio sulla piazza della Bastia, allora cortile interno del Castello, ove era allestito un palco su cui sinistri personaggi, il boia, il frate incapucciato e un assistente, si affacendavano intorno al patibolo.
Verso la metà del 1200 questi luoghi furono teatro di vicende atroci. Una delle più commoventi fu quella di Isminda, una giovane sposa diciasettenne, che cadde vittima della brame amorose dell'ambiziosissimo suocero il quale per conquistarla la mise a capo delle sue dominazioni per dieci giorni, ma quando si convinse che iI rifiuto della giovane nuora era definitivo, la condannò al patibolo. A nulla valsero le torture per persuadere la povera fanciulla. lsminda con coraggio e dignità, avvolta nel suo lungo mantello, percorse il breve tragitto della Torre al palco del boia, salì la scaletta, congedò con un sorriso il frate che le leggeva i versetti del «Miserere», ma quando l'inserviente le si avvicinò per bendarla e toglierle il mantello gettò l'occhio sul mucchio dei giustiiziati, lì presso, e vide l'amato corpo del giovane sposo, vacillò ed in preda alla pazzia fu presa dal carnefice. Il suo corpo decapitato ed imbrattato di sangue rimase sul palco assieme agli altri, non avendo diritto come «colpevole» nemmeno ad una pietosa sepoltura.
Un'altra truce storia è quella della «Bella Maria», la figlia del Guardiacaccia di Jacopo da Beneceto, Signore di Alpicelle. Maria era conosciuta in tutta la zona per sua awenenza, era fidanzata ad un giovane di nome Enrico.
Una sera, per una scommessa, per la quale Maria avrebbe vinto una moneta d'oro se fosse riuscita a passare da sola per la Cascata dello Spigone, si trovò in un bosco folto e selvaggio, e la udì le grida di una donna che invocava aiuto.
Tremante di paura e impotente di soccorrere la disperata che urlava, si accovacciò dietro un macigno presso l'acqua e vide due sagome di uomini, che trascinavano una donna recalcitante verso la fitta macchia che costeggiava il Rio Spigone e lì sparirono. Maria si acquietò un attimo, vide qualcosa sul sentiero, era il cappello che uno dei due uomini aveva perso nell'addentrarsi tra i cespugli, lo raccolse e correndo affannosa mente rientrò a casa, dove consegnò al padre il cappelo e raccontò quanto aveva visto. Il cappello fu riconosciuto . . era del suo Enrico, che denunciato, fu arrestato e condannato a morte. Maria si disperò più per aver involontariamente smascherato la persona che più amava, che per l'inganno subito.
Passò giorni e notti davanti al Torrione della Bastia, ove Enrico fu rinchiuso, implorando pietà e perdono e sperando almeno di vederlo. Riuscì a scorgerlo solo il giorno dell'esecuzione, quando, scortato dalle guardie, fu portato al patibolo. Lo sentì imprecare e maledire contro di lei, e per lei fu troppo . . . impazzì e scomparve; nessuno seppe più nulla. Ma alla Cascata dello Spigone, in alcune notti, si sentono ancora come delle urla, e c'è chi dice che una «donna» vestita di bianco si aggiri fugacemente tra la piazza della Bastia e i boschi circostanti lo Spigone.
Nelle notti di vento e di bufera le urla della bella Maria e di lsminda si fondono a quelle degli altri disperati ospiti del Torrione e insieme al vento scendono per la valle e sibillando nei camini e nelle fronde degli alberi chiedono vendetta ed un pietoso ricordo.
Codice FANTASMA
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